PREMIO MARCELLO MERONI
Dedicato a chi, in ambito montano, riesce a essere un esempio positivo
Gruppo Montagnaterapia Cai Parma
BIOGRAFIA
Nel 2009, alcuni Soci CAI, guidati dal medico Gianluca Giovanardi, attuale Presidente della Sezione di Parma – iniziano ad accompagnare in montagna assieme ai sanitari i pazienti di un Centro di Salute Mentale: l’esperienza porta alla prima convenzione con la ASL. Le attività sono: escursionismo, arrampicata, cicloescursionismo, sentieristica, e la formazione in aula. Nel tempo giungono nuovi volontari ed utenti: giovani con dipendenze, disabili fisici, anche non deambulanti. L’attività con gli psichici è una vera riabilitazione: promuove il benessere fisico, migliora l’agilità, l’autostima, le relazioni personali. Può incidere sulla resistenza dello psicotico agli stimoli esterni e sulla difficoltà nel coordinamento motorio. Anche le persone con dipendenze vi trovano aiuto al superamento di comportamenti regressivi tipici. Il progetto acquisisce credibilità e visibilità, fino a che la convenzione diventa triennale (2016-2018), ed entra nel Piano provinciale di prevenzione dell’ASL. Oggi il Gruppo Montagnaterapia conta circa 40 volontari, 8 sanitari che accompagnano 60 utenti, tra disabili psichici, fisici e con dipendenze. Nel complesso una quindicina di uscite annue, anche di più giorni.
Motivazione della candidatura sintetica:
Un’attività assolutamente solidale, che risponde al bisogno fondamentale, quello della salute, proprio per categorie di persone spesso oggetto di pregiudizi sociali. I meriti particolari del gruppo sono diversi:
- lo sviluppo della collaborazione tra professionisti (i sanitari) e volontari,
- la capacità di relazionarsi con il territorio e le istituzioni,
- la diffusione della cultura dell’inclusione sociale,
- la progettualità che ha portato – e continua a portare – all’allargamento delle fasce di utenza, (es. pre-adolescenti in condizioni di disagio), a sviluppare tecniche, didattiche e metodologie originali
- l’attenzione alla formazione dei volontari
- la replicabilità , e non da ultimo
- la possibilità di sviluppo professionale per gli utenti.
Motivazioni candidatura estesa:
1) Si comincia l’avventura…chiedendosi il perché
Tutto inizia nel 2009, con un piccolo gruppo di operatori sanitari ed alpinisti, alcuni con il doppio ruolo, che, contaminandosi a vicenda, iniziano alcune uscite con un ristretto gruppo di pazienti assistiti da un CSM. L’esperienza rapidamente si afferma, con una azione forte di reclutamento di volontari da parte del CAI ed un primo, sperimentale investimento da parte della Azienda USL di Parma, che definisce con il sodalizio una convenzione annuale sostenuta da un piccolo budget. Nel corso degli anni, l’utenza aumenta e si arricchisce con un progetto “ad hoc” rivolto a giovani con problemi di dipendenza seguiti dai SERT. Parallelamente, il confronto tra professionisti del settore e volontari focalizza le ragioni del progetto, anche diverse rispetto alle differenti tipologie di utenza, e fornisce motivazioni profonde al lavoro volontario. L’offerta ai disabili psichici si configura come un’attività riabilitativa a tutti gli effetti, in quanto attraverso l’esperienza in montagna, punta a promuovere il benessere fisico, il miglioramento della postura e della agilità, l’aumento dell’autostima attraverso la consapevolezza e la scoperta di proprie abilità ed il raggiungimento di obiettivi concreti, il miglioramento della relazione attraverso la frequentazione e la solidarietà del gruppo. Esistono poi indicazioni specifiche per il paziente con diagnosi di psicosi, cui si rivolge principalmente l’ offerta del Gruppo, in quanto attraverso l’esperienza di montagna si può incidere su alcuni segni della malattia, quali la resistenza agli stimoli esterni (la montagna richiama invece continuamente a piccole scelte di comportamento) e la difficoltà nel coordinamento motorio (la montagna abitua invece a modellare corpo e movimenti alle configurazioni ed agli ostacoli del terreno). L’offerta alle persone con problemi di dipendenza si giustifica in quanto la frequentazione della montagna favorisce il superamento di alcuni modelli comportamentali propri del dipendente:
- l’incapacità a vivere e descrivere le emozioni,
- la difficoltà a vivere i corpi se non come “oggetti”,
- le difficoltà ad integrare sensi, mente e corpo,
- la ricerca del “tutto e subito” ed il rifiuto per l’impegno e la fatica,
- il rifiuto della condivisione e dell’alterità,
- l’affermazione dell’impulsività e la negazione della lentezza,
- la ricerca del piacere solo nell’ ”essere fatto”.
2) Il progetto cresce e si diversifica
Nel corso degli anni, il progetto acquisisce spessore, visibilità nella comunità locale, suscita interesse da parte dei media locali e comincia a drenare alcune piccole donazioni. La convenzione si rafforza assumendo valenza triennale (2016-2018), entrando ufficialmente nel Piano provinciale di promozione dell’attività fisica nelle fasce deboli della Azienda sanitaria, parte integrante del PRP (Piano regionale di Prevenzione) 2016-2018 della Regione Emilia-Romagna. Le attività su cui si articola il progetto sono varie: prevalentemente l’escursionismo, ma anche l’arrampicata, l’attività sentieristica, il cicloescursionismo (senza dimenticare specifici incontri di formazione ed aggiornamento su temi di montagna tenuti da volontari e, anche, da utenti più esperti) e anche differenziate per utenza, laddove per le persone con problemi di dipendenza si prediligono attività di maggior impegno fisico ed impatto emotivo, quali l’arrampicata ed il rafting. Si aprono anche nuovi filoni di lavoro: uno, avviato solo da alcuni mesi sempre all’interno della convenzione con l’AUSL, rivolto a pre-adolescenti (10-14 anni) in condizioni di disagio ed uno, sperimentale ed avviato nel 2016, con un Centro riabilitativo privato convenzionato (Centro Cardinal Ferrari di Fontanellato), rivolto a disabili fisici con esiti di ictus o di trauma cranico, sia parzialmente autosufficienti che non autosufficienti non deambulanti. Per consentire a questi ultimi di vivere l’esperienza di rapporto con l’ambiente naturale, sono state recentemente acquistate 2 joelettes elettrificate, di cui è in corso l’apprendimento dell’utilizzo da parte dei volontari. Da ultimo, si cerca di sviluppare l’empowerment dei ragazzi arricchendo l’esperienza di frequentazione della montagna con brevi momenti di tirocinio lavorativo sfruttando sedi e rifugi del CAI, particolarmente utili per favorire ulteriori livelli di inclusione sociale.
3) Piantare radici per il futuro
Nei confronti dell’utenza debole cui il Gruppo offre servizio, riconosce un triplice dovere di qualità, sicurezza e continuità. E’ necessario superare i limiti spesso intrinseci all’attività del volontariato: l’improvvisazione pur nella generosità e la transitorietà legata al mutare delle persone e delle loro motivazioni. Per questo cerca di affiancare all’attività “sul campo” interventi volti a dare solidità e prospettiva futura al progetto. Queste azioni vanno dal costruire partnerships con altre realtà ed esperienze (Brescia, Casalmaggiore, Carrara, Reggio, Ancona), alla presenza assidua ai momenti nazionali di aggiornamento e confronto, ma soprattutto nella definizione di regole interne e nella formazione/aggiornamento del gruppo. Sul primo aspetto, è stato definito e condiviso una sorta di “decalogo di auto-accreditamento” che racchiude una serie di indicazioni sulla conduzione di una uscita in sicurezza che non sia una semplice “gita” ma si strutturi come intervento educativo e riabilitativo. Questo strumento è sia di riferimento per i volontari, ma è anche la base per una sorta di “patto” con i pazienti e con le loro famiglie. Sul secondo aspetto, quello della formazione del volontario, si agisce attraverso incontri interni condotti da professionisti su alcune nozioni cliniche di base e sugli aspetti di relazione con i pazienti, arrivando ad organizzare anche piccoli seminari residenziali principalmente mirati ad confrontare gli aspetti motivazionali del volontario ed, approfondendo le dinamiche relazionali volontario-paziente, ad individuare indirizzi comportamentali condivisi. La speranza è anche di sviluppare una formazione “ad hoc” su “cammino e scrittura”, prima tra i volontari e poi con i pazienti, di cui è stato percepito l’altissimo valore nell’approfondire e fissare pensieri ed emozioni.
4) Trekking per l’eternità?
Il progetto di montagnaterapia vuole, pur nella sua continuità, aprirsi ad altri palcoscenici, in un’ottica evolutiva quasi naturale. Sicuramente va affrontato in modo il più possibile scientifico, il tema della valutazione, sia nei suoi aspetti di “processo” (ovvero, della rispondenza dei progetti e delle azioni a criteri di qualità) che di efficacia. Vi sono però alcuni ambiti su cui il CAI può andare oltre il semplice accompagnamento in montagna. Un CAI solidale è quello che, oltre ad assicurare soci motivati all’accompagnamento in ambiente, “apre” le proprie strutture alla solidarietà. Si pensa quindi a “sedi CAI solidali”, dove i ragazzi, anche attraverso tirocini formativi o borse lavoro, possano mettere in pratica le loro competenze ed abilità. Pensano anche a “Rifugi solidali” (ed in tal senso è stata formulata una proposta al Convegno nazionale di Pordenone dell’autunno 2016, poi promossa localmente con il Rifugio Mariotti al Lago Santo Parmense): una rete nazionale di rifugi che vengono dichiarati tali (con una sorta di codice etico condiviso ed uno specifico logo) perché in modo non saltuario si collegano alle esperienze di montagnaterapia, e non solo, dando lavoro ed occupazione a ragazzi attraverso tirocini “ad hoc”, arricchendo così le loro abilità, migliorandone le capacità di relazione e facendone incrementare l’autostima.